Smartworking, un emendamento al Decreto Milleproroghe ha allungato i tempi per alcuni lavoratori: i dettagli
Già prima della pandemia alcuni italiani hanno quasi sempre lavorato da remota, in smartworking. Al di là dalla giusta traduzione del termine inglese, con la crisi causata dal Covid questa parola – così come tante altre – è entrata a far parte del vocabolario collettivo.
In tanti hanno avuto modo per la prima volta di svolgere la propria attività senza lasciare la propria casa. Un lavoro svolto in questo modo ha certamente molti vantaggi ma per alcuni anche svantaggi (nel minor numero dei casi), come per chi vive in una grande famiglie ma in un appartamento di medie dimensioni.
Come detto per molti il lavoro senza andare in sede si è rivelato più comodo per la gestione della casa e della famiglia. Buone notizie arrivano per i lavoratori fragili per i genitori che hanno figli con meno di 14 anni nel settore privato.
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Grazie a un emendamento al Decreto Milleproroghe voluto da Partito Democratico, lo smartworking per queste categorie è stato prorogato fino al 30 giugno 2023. Ciò sarò possibile anche anche in assenza degli accordi individuali e “a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione”, si legge sul sito de Il Sole 24 Ore.
Il testo, a prima firma di Antonio Nicita, ha avuto il via libera unanime delle commissioni Bilancio e Affari Costituzionali del Senato.
La misura prorogata fino al 30 giugno aveva bisogno di coperture finanziarie in modo particolare per i dipendenti pubblici. Il governo ha messo sul tavolo 16 miliardi di euro.
L’emendamento ha avuto l’ok di tutte le forze politiche perché anche se presentato dall’opposizione era anche volontà della maggioranza.
Oltre alla proposta del Pd sul tema c’è stata anche quella del Movimento 5 Stelle. Anziché prorogare lo smartworking fino al 30 giugno si era spinto fino al 31 dicembre.
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Inoltre c’era anche la possibilità anche per i fragili che non possono svolgere la mansione in modalità agile di equiparare i periodi di assenza al ricovero ospedaliero. Ciò però escludendoli dal periodo di comporto, ossia il periodo di tempo in cui il lavoratore subordinato, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto.