WhatsApp beccata ancora volta: l’autorità irlandese la condanna a sborsare 5,5 milioni di euro per una violazione
Internet ha cambiato il mondo e il social anche di più. Soprattutto durante la fase più acuta della pandemia abbiamo goduto dell’importanza delle chat istantanee. Ovviamente una tutte WhatsApp, la più diffusa al mondo con oltre due miliardi di utenti.
Un servizio completamente gratis. Ciò ha sempre fatto storcere il naso: com’è possibile? Si è sospettato dal primo momento che la merce in cambio del servizio fossero i dati.
WhatsApp, quali sono le contestazione alla società
Ora c’è un nuovo caso. La Commissione per la protezione dei dati irlandese – la Data Protection Commission (DPC) – ha multato WhatsApp per 5,5 milioni di euro. Ci sarebbe stata la violazione del GDPR, il regolamento generale sulla protezione dei dati.
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L’app di Meta deve anche riportare il trattamento dei dati in un territorio di conformità con la norma entro sei mesi.
Il GDPR è entrato in vigore il 25 maggio 2018. Prima di quel giorno WhatsApp aggiornò i propri termini di servizio, spiegando agli utenti che per usufruire ancora del servizio avrebbero dovuto cliccare sul tasto “Accetta e continua” proprio per via dell’introduzione del GDPR.
Chi ha denunciato è un soggetto tedesco che ha sostenuto questa tesi: WhatsApp con l’accettazione stava facendo affidamento sul consenso per avere un minimo di base legale per il trattamento dei dati. La versione della società, invece, è che con l’accettazione si fosse creato un nuovo contratto con l’utente. Una sorta di accordo per migliorare il servizio e che comprendesse il trattamento dei dati.
Secondo la denuncia WhatsApp ha “costretto” gli utenti al consenso del trattamento dei dati per poter continuare a usare il servizio. In ciò ci sarebbe la violazione del GDPR.
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Con l’indagine il DPC irlandese ha ravvisato una mancanza di trasparenza sul trattamento. Non è neanche la prima volta che l’organo colpisce la società poiché già in passato aveva inflitto una multa da 225 milioni di euro proprio per aver violato la trasparenza.