In pensione senza limiti di età che pone fine al sistema che considera l’età anagrafica e quella contributiva
Con la Legge di Bilancio in vigore da qualche giorno il governo ha riformato almeno per il 2023 le pensioni. Chi durante l’anno vuole lasciare il lavoro si deve attenere alle regole della cosiddetta Quota 103 che sostituisce quelle di Quota 102.
È un riforma però realizzata per evitare il ritorno della Fornero. Come se fosse un tampone, in attesa di una legge più strutturale che riformi il sistema per i prossimi anni.
In pensione senza limiti di età: l’idea del governo
Chi vuole lasciare il lavoro quest’anno dovrà rispettare le due solite condizioni: l’età anagrafica e quella contributiva. Per la prima, bisogna avere almeno 62 anni, per la seconda aver versato 41 anni di contributi.
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Una delle idee sulle quali l’esecutivo sta ragionando è cercare di semplificare anche l’uscita dal lavoro. Si vorrebbe infatti introdurre un solo requisito, quello contributivo.
“Quota 41 è un metodo, non uno spot. Solo ragioni di costo hanno richiesto l’inserimento di un coefficiente anagrafico a 62 anni, ma il futuro è verso l’azzeramento progressivo del limite di età”. Con queste parole il Sottosegretario all’Economica Federico Freni in un’intervista a Il Messaggero ha spiegato che si vorrebbe introdurre il sistema con il quale si potrà andare in pensione solo con 41 anni di contributi.
Freni ha rilasciato le sue dichiarazioni al quotidiano prima che la Legge di Bilancio ottenesse il via libera definitivo del Senato. Si è soffermato anche su Opzione donna, misura considerata come “un bisogno di tutela cui non possiamo e non vogliamo negare risposte. Vedremo di trovare una quadra migliorativa”.
Rivendica nella manovra decisioni a favore di “redditi medio bassi” e nei prossimi mesi l’andamento dell’inflazione sarà il metro per altre decisioni.
Già negli ultimi mesi del 2022 sono state prese decisioni importanti (alcune dal governo Draghi) a supporto delle pensioni e degli stipendi, come la rivalutazione in base all’inflazione (chiamata anche perequazione) e il taglio al cuneo fiscale.
Quest’ultima mossa era stata realizzata già dall’esecutivo dell’ex presidente della Banca Centrale Europea ed è stata confermata dal governo Meloni. Il taglio è stato anche ulteriore di un punto percentuale (dal 2 al 3%) per i redditi inferiori ai 25mila euro.
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Sono politiche a favore delle fasce più deboli ma la numero uno della Bce, Christine Lagarde, ha lanciato l’allarme: più soldi in buste paghe contro l’inflazione possono causare l’effetto contrario, ossia alzare ancora di più i prezzi.