Cosa succede all’indennità di malattia quando si superano i 180 giorni di assenza dal posto di lavoro? E cosa è tenuto a fare il datore di lavoro in quei casi?
Quando capita di assentarsi dal posto di lavoro per cause di malattia vi sono condotte ben specifiche da seguire sia per l’azienda sia per l’INPS. Vale a dire l’ente preposto all’erogazione dell’indennità di malattia quando si supera un certo periodo di tempo di assenza. Rispetto alla retribuzione dovuta al lavoratore che si trova in stato di malattia, infatti, la legge stabilisce che all’azienda spetta la retribuzione dei primi 3 giorni di congedo.
Nonché quella per i giorni festivi che capitano durante il periodo di malattia e di quella spettante a tutti i lavoratori che non rientrano nei requisiti INPS per ricevere un’indennità pubblica. L’azienda, inoltre, è tenuta a integrare l’indennità INPS con una quota che porti quest’ultima al 100% dello stipendio solitamente percepito.
Il congedo per malattia, tuttavia, ha una durata massima che si deve rispettare. Oltre questo termine, fissato a 180 giorni per anno solare (da gennaio a dicembre), né l’INPS né il datore di lavoro sono più tenuti a indennizzare il lavoratore. Il contributo INPS in caso di malattia corrisponde alle seguenti percentuali:
Inoltre bisogna considerare che il limite di 180 giorni è valido solo nel caso in cui un lavoratore possa far valere almeno altrettanti giorni di lavoro nell’anno solare precedente al periodo di malattia. Se ad esempio un dipendente ha lavorato per un ammontare di soli 40 giorni nell’anno precedente al congedo, allora il limite massimo indennizzabile dall’INPS sarà pari a 40 giorni e non più 180.
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Nel caso in cui la malattia duri a cavallo di 2 anni solari, a partire dal 1 gennaio del successivo il conto di 180 giorni comincerà da capo. Inoltre da questo limite temporale vanno esclusi: congedo di maternità, paternità e parentale, malattia per stato di gravidanza, malattia professionale, malattia causata da terzi.