Chi non è d’accordo con le volontà del defunto può promuovere un’iniziativa in Tribunale contro i chiamati all’eredità. Di cosa si parla
L’arrivo di un evento luttuoso nell’ambito della famiglia, o nel resto della parentela, apre un periodo particolarmente sentito sotto diversi punti di vista: non ultimi, i sentimenti devono intrecciarsi con un forte riequilibrio dei rapporti familiari, e l’aspetto economico deve ritrovare nei familiari superstiti una sua prosecuzione. Una fase importante di questo nuovo corso può essere dettato dall’apertura del testamento presso il notaio.
All’interno del nucleo familiare, l’assenza di un componente non compromette generalmente la sicurezza degli altri membri, perlomeno non del tutto. Le norme previdenziali prevedono infatti strumenti ad hoc per la garanzia di sussistenza dei superstiti: ad esempio, se il defunto è un pensionato, una quota in percentuale variabile si trasferisce agli altri componenti, a partire dalla moglie fino ai figli, purché risalenti a carico del de cuius. Tale quota parte prende il nome di pensione di reversibilità.
Eredità, quali conseguenze comporta l’impugnazione sul testamento
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Sul fronte testamentario, la sola apertura delle volontà del defunto presso uno studio notarile non significa accettarle da parte dei chiamati all’eredità. La legge offre loro tutto il tempo necessario per manifestare la volontà di prendere in incarico i beni: se l’accettazione dell’eredità deve avvenire entro tre mesi dall’apertura del testamento, i termini di prescrizione avvengono ben dopo dieci anni dalla morte del defunto.
Accettando l’eredità, i chiamati, se non appartengono alla linea diretta del defunto, devono provvedere ai relativi iter burocratici per comunicare all’Erario la prosecuzione del godimento dei beni: dovranno predisporre la cosiddetta dichiarazione di successione da trasmettere all’Agenzia delle Entrate, insieme al pagamento dell’imposta di successione secondo percentuali stabilite. Si tratta di un obbligo imprescindibile se vi sono altresì beni o diritti immobiliari, o semplicemente beni dal valore superiore a 100mila euro.
Chi ha un interesse diretto, ha la facoltà di impugnare il testamento, rivolgendosi ad un Tribunale e citando i chiamati all’eredità. L’obiettivo è quello di dimostrarne l’invalidità e pertanto di ottenere l’annullamento. Nullità e annullabilità sono i due concetti in ballo nel giudizio. Un testamento è nullo se gravino su di esso difetti di forma o violi la legge; nel caso del testamento olografo, si può accertare che non sia stato interamente scritto di pugno dal testatore, oppure che manca la sottoscrizione.
È nullo anche se frutto di un vizio di volontà dovuto a violenza, dolo o errore. Un testamento è, al contrario, annullabile se si accerta l’incapacità d’intendere e di volere del testatore; ma anche se si rilevino lievi difetti di forma (ad esempio, la data mancante). L’impugnazione di un testamento per nullità può essere effettuata in qualsiasi momento, non ci sono scadenze. Per l’azione di annullamento, invece, i limiti temporali sono di cinque anni dal momento in cui viene data lettura del testamento.