Come potrebbe funzionare l’eventuale inserimento di Quota 41 nel novero di quella che è l’annunciata Riforma al via entro non molto. Quali sono le possibili introduzioni e quali i punti su cui essere legittimamente scettici.
Quota 41, in relazione alla annunciata riforma delle pensioni 2022 ci sono delle ultime notizie. E figura un aspetto molto importante che riguarda il nuovo sistema attualmente in fase di rimodulazione che dovrebbe partire a cominciare dal 1° gennaio prossimo.
La cosa coinvolge l’abbandono in merito al ricorso di misure ad oggi comunque molto importanti come Opzione Donna, l’Ape Sociale ed anche Quota 102, che è molto recente. Sembra c’erto, nell’ambito del discorso riforma delle pensioni 2022 per le ultime notizie in corso, che verrà cambiato il meccanismo per ottenere la pensione anticipata.
Ad oggi c’è Quota 41, appannaggio esclusivo di una ristretta categoria di lavoratori che si trovano in una situazione di svantaggio. Basta avere maturato per l’appunto 41 anni di contributi, sia per gli uomini che per le donne, per ottenere la pensione in anticipo.
Quota 41 rappresenterebbe proprio per gli uomini un ottimo vantaggio, dal momento che i requisiti per la pensione anticipata ad oggi ammonta a 42 anni e 10 mesi.
Usufruiscono di Quota 41 lavoratori che già a 19 anni abbiano maturato almeno 12 mesi pure non continuativi di contributi. Oppure disoccupati per cessazione di lavoro sia per dimissioni che per interruzione consensuale del rapporto di lavoro.
Ed ancora, invalidi civili da almeno il 74%, caregiver, dipendenti che negli ultimi sette anni e per almeno sei svolgano attività usuranti e/o gravose. C’è la possibilità che Quota 41 prenda il posto della pensione anticipata, nel novero della riforma delle pensioni.
Ma sembra in realtà solamente una ipotesi, perché ad oggi Quota quarantuno prevede una barriera di accesso alquanto stringente.
Estenderla ad una platea più vasta comporterebbe delle spese eccessivo per lo Stato. Con una media di 12 miliardi in più all’anno dalla sua introduzione.
Le uscite così misurate risulterebbero fin troppo onerose per il Governo, che già affronta delle uscite che raggiungono i 300 miliardi di euro all’anno. Una somma che equivale al 16,7% dell’intero Prodotto Interno Lordo dell’Italia.