Il giornale di Torino ha voluto far chiarezza sulla storia diventata virale di un ristoratore che dichiarava la chiusura del suo bistrot a causa della mancanza di personale. Emergono, però, dei retroscena grazie alle voci di ex dipendenti che smentiscono quanto detto dal proprietario.
Il Corriere di Torino, ha riportato il 2 maggio un articolo che parlava de L’Acciuga Bistrot: “non riesco ad assumere, quindi chiudo bottega“. Questa è stata la dichiarazione di Maurizio Rostagno, il ristoratore che si lamentava di dover chiudere l’attività a causa di mancanza di personale.
Aggiungeva, inoltre, che le difficoltà persistevano nonostante la paga di 1700 euro netti al mese, per 12 mensilità, per il cuoco e l’aiuto cuoco e 1400 euro per i camerieri di sala.
L’articolo però, è stato letto anche da Paolo, dipendente del bistrot che solamente il giorno prima, durante la Festa dei Lavoratori, era stato licenziato in seguito ad un turno di 10 ore e mezza.
Ed è qui che sono nate le prime risposte ad un caso diventato virale sui social network: gli ex dipendenti de L’Acciuga Bistrot hanno raccontato un’altra faccia della medaglia.
L’Acciuga Bistrot, un caso virale: la verità dietro la chiusura dell’attività per mancanza di personale
Gli ex dipendenti di Rostagno, imprenditore con due ristoranti a Torino, L’Acciuga Bistrot e Le Fanfaron Bistrot, non si trattengono dal commentare e fare chiarezza sulla vicenda.
Paolo ha iniziato a lavorare per Le Fanfaron Bistrot che ricercava un capo partita ai primi di cucina piemontese. Invece, alla resa dei conti, durante il suo periodo di prova in affiancamento è finito a pulire il pesce e si è ritrovato assunto per la presa in gestione totale del bistrot con contratto di sesto livello del Ccnl dei pubblici servizi, in qualità di aiuto cuoco.
Il contratto prevedeva 12 mensilità e non 14, un forfettario da 40 ore settimanali, anche se ne venivano all’effettivo coperte 47 e mezza.
Lo stipendio si aggirava davvero intorno ai 1650 euro, ma comprensivo di tutti gli istituti aggiuntivi inglobati nella remunerazione mensile.
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A detta di Paolo, il proprietario del locale ha fornito una versione dei fatti diversa rispetto a quella che ha diffuso sui social riguardante la scelta della chiusura. Rostagno si era giustificato con i suoi dipendenti dicendo che avrebbero chiuso l’attività per una o due settimane, per fare dei lavori, come la ristrutturazione del dehor.
Paolo non sarebbe stato riassunto in seguito alla riapertura: con le nuove modifiche, la sua figura non sarebbe più stata necessaria.
Anche Margherita Zouheir, ex dipendente de Le Fanfaron Bistrot, ha detto la sua. Ha lavorato per diversi anni come stagionale, assunta come cameriera con un quinto livello del Ccnl dei pubblici servizi.
Anche in questo caso, stessa storia di Paolo: le manzioni che si è ritrovata a coprire non erano quelle dichiarate da contratto né proporzionate alla sua remunerazione.
Margherita apriva il locale, aveva la responsabilità della cassa e del registro dei corrispettivi, prendeva le ordinazioni e puliva i bagni.
Lo stipendio percepito si aggirava tra i 1150 e i 1200 euro.
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Quella di Margherita è una condizione risalente al periodo pre-Covid. In seguito allo scoppiare della pandemia, le cose sono cambiate ulteriormente: i dipendenti di Rostagno vedevano lo stipendio ogni tre mesi, quando l’Inps lo erogava.
Il licenziamento è avvenuto con la motivazione di un calo di fatturato, paradossalmente a pochissima distanza dall’apertura di un nuovo locale, lì affianco, e dall’assunzione di altre persone.
L’avventura di Margherita come lavoratrice al bistrot si conclude con dei provvedimenti insieme all’avvocato per ottenere i soldi che le spettavano. Dichiara anche di non essere stata l’unica ad aver proceduto per vie legali.
Dopo solamente una settimana dalla pubblicazione dell’annuncio di protesta sul Corriere di Torino, Rostagno ringrazia di aver ricevuto ben 500 curriculum.
Però il ristoratore, dopo le confessioni dei suoi ex dipendenti, non ha voluto rilasciare ulteriori dichiarazioni.