Sparlare del proprio capo con i colleghi su Whatsapp o altre chat private. La giurisprudenza italiana deve fare il punto sulla questione. Pareri discordanti
C’è chi ha la fortuna di essere alle dipendenze di qualcuno che non solo rappresenti una figura autorevole ma anche un vero e proprio leader, corretto con i propri sottoposti, disponibile quando è il caso di assecondare richieste e fermo quando, invece, bisogna prendere decisioni importanti per l’attività, anche se difficili o sgradevoli.
Capitano, purtroppo, situazioni in cui il proprio capo è un vero e proprio rompiscatole, insopportabile. Le soluzioni sono due: o prendere la via del”uscita e cercare fortuna altrove o ingoiare il rospo. Però quanta soddifazione dà sfogarsi con i propri colleghi, non è vero? Magari cercando manforte in una situazione condivisa di disagio. Potrebbe succedere di azzardare qualche parolina di scontento nei confronti del boss, magari lasciando traccia scritta con dei messaggi scambiati su Whatsapp. Cosa si rischia in questo caso?
Whatsapp: parlare male del capo in chat. Cosa potrebbe accadere?
La giurisprudenza italiana non è uniforme in caso di una chat in cui si sparli del proprio capo su Whatsapp.
Una notizia riportata da Agi, infatti, mette in luce un caso in cui il tribunale di Udine aveva emesso una sentenza di illegittimità riguardo un licenziamento avvenuto in questo ambito “per difetto di giusta causa”.
Successivamente la Corte d’appello di Trieste aveva sostenuto che la conversazione su Whatsapp “non avesse alcun rilievo disciplinare”. Il ricorso dell’azienda veniva, dunque, accettato in maniera parziale. Il rapporto di lavoro si poteva dire concluso ma, al tempo stesso, la società era stata condannata a pagare un risarcimento al dipendente licenziato.
Terzo capitolo della vicenda con un ulteriore ricorso avanzato sia dal lavoratore, sia dall’azienda in Cassazione. Quest’ultima, sorprendentemente, si è pronunciata favorevolmente nei confronti del licenziato poiché le conversaioni via chat erano “circoscritte ad un ambito totalmente estraneo all’ambiente di lavoro”. É stato escluso che le dichiarazioni fossero finalizzate alla diffusione. “Resta irrilevante lo strumento di diffusione utilizzato” – hanno detto i giudici.
In un caso simile si è espresso diversamente il Tar Sardegna. Se un dipendente sparla del proprio capo su WhatsApp può essere punito se uno dei membri della chat racconta il contentuto alla vittima. Secondo il Tar, infatti, “non conta la natura la privata della conversazione… la rilevanza disciplinare prevale sull’insussistenza della diffamazione”.
In questo caso, i superiori sarebbero legittimati a intervenire con un provvedimento disciplinare proporzionato alla gravità delle offese espresse dal dipendente, seppur in chat privata.