Senza biglietto sul bus, il controllore può obbligarci a scendere?

Senza biglietto sul bus o qualsiasi altro mezzo di trasporto: quali sono i poteri di chi ci chiede il titolo di viaggio e cosa può succedere

Senza biglietto sul bus
Foto Ansa

Nel cinema italiano è memorabile la scena di Febbre da cavallo quando i tre protagonisti, per sfuggire al controllo sul treno che da Napoli li riporta a Roma, scendono a ogni fermata per risalire sulla carrozza di coda, evitando l’incontro con il temibile controllore.

Riescono a scampare il pericolo, ma se fossero stati beccati, il controllore li avrebbe potuti costringere a scendere dal treno? Si tratta di un film ma è episodio che può avvenire nella vita reale, tanto che anche la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito.

Chiariamo innanzitutto che il controllore ha diritto a chiedere le generalità dei passeggeri ma solo se questi non abbiano il biglietto. Alcune aziende hanno affisso avvisi sui propri mezzi che i controllori possono scattare delle foto con il proprio cellulare così da poter successivamente eseguire il riconoscimento facciale.

Tra i suoi poteri può anche chiamare la polizia se ha il sospetto che stia mentendo sulle proprie generalità. Il controllore non ha infatti, a differenza delle forze dell’ordine, il potere di chiedere i documenti di riconoscimento.

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Senza biglietto sul bus, cos’ha stabilito la sentenza

Senza biglietto sul bus
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Anche se il trasgressore desse il proprio documento per la multa, gli si può chiedere di scendere o può proseguire il viaggio proprio perché è stato sanzionato?

Il passeggero deve scendere appena il mezzo si ferma, non può proseguire la corsa. La Cassazione si è pronunciata con la sentenza n. 10614/2022 del 24.03.2022 perché una donna aveva fatto ricorso avverso alla sentenza del Tribunale d’Appello di Milano per quanto accaduto più di due anni fa su un mezzo di Trenord che da Albairate andava Saronno.

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Si era rifiutata di fornire le proprie generalità e di scendere dal treno, causando un ritrardo di 42 minuti. Dopo la condanna del Tribunale di Milano del 22 gennaio 2020 e quella in secondo grado del 23 febbraio 2021, la Cassazione ha respito il ricorso della donna condannandola a pagare 3000 euro.

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