L’Inps ha ricevuto una sanzione pari a 300 mila euro dal Garante della privacy sul caso bonus Covid e i politici che lo intascarono. Il tribunale di Roma ha accolto il ricorso dell’Istituto
Circa un anno fa l’INPS ricevette una sanzione dal Garante della privacy per aver fatto controlli e incrociato dati sui beneficiari del bonus Covid, inizialmente pari a 600 euro (poi saliti a 1000 euro) dati alle partite Iva in uno dei momenti più bui dettato dalla pandemia da Coronavirus.
Tra questi risultarono numerosi politici furbetti (circa 2mila persone), tra cui anche parlamentari, che adesso dovranno restituire quanto elargito ingiustamente. All’INPS veniva imputata una violazione della privacy poiché vennero messe a confronto le banche dati interne con quelle esterne di Camera, Senato e ministero dell’Interno. Immediato il ricorso dell’Istituto che fu condannato a versare una sanzione pari a 300mila euro. Qual è stata la decisione presa dal tribunale di Roma.
La giudice Cecilia Pratesi ha sentenziato che l’INPS aveva tutto il diritto di effettuare i controlli consultando ed estraendo i dati anagrafici di politici dalle banche dati della Camera, del ministero dell’Interno e successivamente anche del Senato che avevano presentato domanda per il bonus Covid.
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I dati in questione, in particolare i codici fiscali, non sono ritenuti sensibili poiché sono pubblici e reperibili, raffrontati poi con i “dati forniti dagli interessati al momento della presentazione della domanda” all’Inps.
Il punto focale della questione, quindi, non è tanto la tutela della privacy quanto la prevenzione delle frodi operata dall’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.
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Come detto, i politici furbetti (molti dei quali sono rimasti nell’anonimato) dovranno restituire quanto percepito. Inoltre, il Tribunale di Roma, nell’accoglienza del ricordo dell’INPS, ha imposto all’Istituto dall’Autorità Garante il pagamento di 1.214 euro di spese processuali e 11.570 per compensi professionali, oltre Iva, cpa e spese generali.