Dopo trentacinque anni dall’apertura del primo McDonald’s in Russia, le serrande si abbassano: è un ritorno alla dittatura?
E’ una corsa contro il tempo, la guerra in Ucraina sta mettendo a dura prova molte parti del mondo ed in primis la Russia, costretta a chiudere alcuni locali e marchi occidentali. Stiamo parlando di McDonald’s, Ikea, Chanel, Dior, Prada, Netflix.
Una decisione presa dopo varie riflessioni, ma impossibile da evitare dal momento che si sta attraversando un periodo difficile senza via d’uscita.
La multinazionale americana, che ha a Chicago la sede principale, ha annunciato la decisione di chiudere provvisoriamente i suoi 850 ristoranti in Russia come supporto alle insensate sofferenze umane causate all’Ucraina.
McDonald’s, dalla fine al ritorno della dittatura
Era il 1990 quando è stato inaugurato il primo McDonald’s in Piazza Pushkin. All’epoca fu un vero atto rivoluzionario, la fine di un’epoca che segnò per sempre la popolazione russa.
Quella data fu il simbolo dell’incontro con l’Occidente, il fast food dalla m gialla era il primo ristorante occidentale in Unione Sovietica. Il giorno dell’inaugurazione più di trecentomila persone non esitarono a mettersi in fila per assaggiare l’hamburger e le patatine: un vero successo che durò per trentacinque anni.
All’inizio sarebbe dovuto essere un locale elegante e raffinato ben lontano dal prototipo presente negli Stati Uniti, ma successivamente divenne una vera e propria attrazione turistica. Infatti molti russi giungevano da ogni parte del Paese a Mosca per mangiare un hamburger e portare a casa le posate di plastica come ricordo.
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Oggi, invece è arrivato l’annuncio da parte della multinazionale che ha lasciato tutti a bocca aperta: la chiusura di 850 ristoranti in Russia e 100 ristoranti in Ucraina.
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Non è ancora possibile riferire se e quando le strutture saranno riaperte, ma McDonald’s ha spiegato che continuerà a pagare i 62.000 dipendenti, “Che hanno dato anima e corpo per il nostro marchio”. Così si legge nella lettera scritta dal presidente e ceo Chris Kempckinski per i suoi lavoratori.