A causa dell’inflazione, oltre a lievitare il costo dell’energia e quanto ne dipende, si registra anche un aumento delle rate del muto. Ma perché?
Le previsioni finanziarie, attualmente, seguono modelli sempre più incerti. Si parla di ipotesi e teorie che come tali incidono negativamente sui tassi interbancari. In particolar modo sugli indici Eurirs ossia quelli che determinano gli interessi dei mutui a tasso fisso. Basti pensare che dall’inizio dell’anno ad oggi l’Euriris sarebbe aumentato di 30 punti base, così come a lievitare è stato il Taeg. Le banche vorrebbero ora correre ai ripari per scongiurare un ulteriore aggravarsi della situazione.
“Le banche, in riferimento ai mutui prima casa hanno parzialmente assorbito questo aumento riducendo i propri margini ricaricando uno spread decrescente dallo 0,39% di agosto allo 0,28% di ottobre“. Queste le parole di Stefano Rossini, amministratore delegato di Mutuisupermarket stando a quanto riporta Il Giornale. Nel suo discorso la soluzione trovata dalle banche per evitare che il quadro degli aumenti incida ancor più significativamente su un contesto già critico.
Ma allora, cosa bisogna fare? Aspettare la ripresa economica? Assolutamente no. Anche quest’ultima, sembra paradossale ma è cosi, avrà un impatto negativo su tutto il sistema che farà arrivare alle stelle l’inflazione. Ed è proprio quest’ultima che maggiormente riverbererà i propri effetti sulle rate dei mutui.
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La Banca Centrale Europea, riporta Il Giornale, al fine di fissare i prezzi al 2% pian piano tenderà a compiere una contromanovra sulla strada della politica monetaria espansiva. Per invertire la rotta inizierà ad immettere sempre meno liquidità e di conseguenza aumenterà il costo del denaro.
Come tutti i meccanismi economici, queste scelte prenderanno – ad effetto domino– delle precise pieghe. Euribor ed Euriris schizzeranno facendo balzare in alto il costo dei mutui. E se lo sarà per il tasso fisso, lo stesso potrà dirsi per quelli a tasso variabile.
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Gli Euribor, riporta Il Giornale, sono sotto il valore 0 da oltre 5 anni. Una condizione che si pensa potrà essere mantenuta almeno fino al settembre 2023. Quello a scadenza trimestrale, oggi allo 0,55%, invece potrebbe giungere al -0,25% già entro il prossimo anno per poi tornare ad un valore positivo verso la fine del 2022.