In tema di pensioni ci sono situazioni per le quali il calcolo di chi non possiede i necessari anni di contributi presenta delle incognite. Cosa dice la legge in proposito.
Pensioni, un cruccio per alcuni ed un miraggio per altri. Molti giovani sono praticamente certi di non potere percepire i consueti sussidi riservati a chi ha portato a compimento il proprio, lungo ciclo lavorativo.
E questo a causa della disoccupazione o delle tante difficoltà nel trovare e poi conservare una occupazione che possa risultare a tempo indeterminato e regolarmente certificata da un apposito contratto.
Anche chi fa tardi il proprio ingresso nel mondo del lavoro non ha possibilità per potere mettere su i contributi necessari richiesti dall’INPS. C’è pure chi ha lavorato da sempre in nero, cosa che ai fini delle pensioni non comporta alcuna utilità ed anzi, da origine solo a problemi enormi per sé stessi e per la società.
Cosa succede allora a chi ha meno di venti anni di contributi ed arriva in teoria a quella che dovrebbe essere l’età pensionabile? La soglia attuale è in media di 64 anni con circa 40 di contributi versati.
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Il consiglio in questi casi è quello di attivare una pensione integrativa oppure una assicurazione, o ancora di versare dei contributi volontari a proprie spese. Con così pochi anni all’attivo si ha comunque diritto ad una pensione, con in aggiunta l’assenza di tagli per quanto riguarda gli assegni mensili. Lo dice la legge con un apposito ddl 503/1992.
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In media la pensione annua di chi ha maturato 15 anni di contributi a 20mila euro lordi all’anno di stipendio ammonta a 5500 euro annui, calcolando il 33% di versamento dei contributi stessi